Nato a Milano nel 1931. Ha diretto le riviste Casabella, Modo e Domus, di cui ha ripreso nel 2010 la direzione per 11 numeri. Sul suo lavoro e su quello compiuto con lo studio Alchimia sono uscite molte monografie. Ha realizzato oggetti, mobili, ambienti, pitture, installazioni, architetture. Ha collaborato con compagnie internazionali ed è stato consulente di varie industrie. E' stato membro onorario della Bezalel Academy of Arts and Design di Gerusalemme, professore onorario all’Accademic Council of Guangzhou Academy of fine Arts in Cina, “Chevalier des Arts et des Lettres” in Francia. Ha ricevuto l’Architectural League di New York, la Laurea Honoris Causa del Politecnico di Milano e nel 1979/1981 due Compassi d’oro per il design. Nell’89 ha aperto con il fratello, architetto Francesco Mendini, l’Atelier Mendini a Milano. Suoi lavori sono in vari musei e collezioni private; gli è stata dedicata una grande antologica al Marca, Museo delle arti di Catanzaro e un’omaggio-dialogo con il maestro Fortunato Depero, alla Casa del Mago di Rovereto. Mendini ha collaborato con Zanotta dal 1982 fino alla sua scomparsa nel 2019.
D. Ha dato vita a epoche del mobile ad alta intensità emozionale ed espressiva, come Alchimia e Zabro. Cosa ricorda di quella felice stagione?
R. Negli anni ‘80 le edizioni Zabro, che Aurelio Zanotta realizzò per la Nuova Alchimia, furono una notevole palestra di sperimentazione linguistica. Il design italiano aveva a quei tempi superato il guado del contro-design, del design radicale e dei primi aspetti del post modernismo. A me personalmente l’intensa esperienza di Zabro permise una concentrazione di molte ipotesi formali e concettuali, che Zanotta e Alessandro Guerriero trasformavano direttamente e molto in fretta in prototipi di mobili, oggetti e decori. Zabro è stata proprio la stagione conclusiva della parabola di Alchimia, resa possibile e legata alla sapienza artigianale di Zanotta.
D. Zanotta ha riproposto al Salone 2011 una riedizione del suo tavolo Macaone. Ne è contento?
R. Il tavolo Macaone è uno dei mobili della collezione Zabro 1985 cui sono più affezionato. Quando progettavo quei mobili e oggetti per Aurelio Zanotta e per la Nuova Alchimia, l’idea era di interpretare e dare una vita diversa agli stilemi degli anni ‘50, tipici di quell’arredamento italiano. Perciò il Macaone simula delle gambe ispirate a Carlo Mollino, o comunque a quelle poetiche atmosfere borghesi e italiane. Il Macaone fu fatto in alcune versioni, quadrato e rotondo. Quello più espressivo è quadrato diviso sul piano in quattro colori forti che proseguono sulle gambe. E’ quello che m’interessa di più, e sono contento che venga riproposto oggi da Zanotta.
D. Quali oggetti salva nel panorama del design odierno?
R. In occasione della mostra Magico Mendini a Milano e St Moritz dell’autunno 2010, ho avuto modo di affermare che nel terzo millennio possono entrare solo quegli oggetti che hanno un’anima. Va recuperata e approfondita, nel design contemporaneo, quell’antica matrice che fa rivivere gli oggetti attraverso atteggiamenti spirituali.
D. Arte, artigianato, design e industria: nuove sinergie?
R. Oggi non vale la formula della sintesi delle arti, e nemmeno quella “dal cucchiaio alla città”. Siamo nell’epoca del collage e dell’assemblaggio di spezzoni scenografici, grandi o piccoli, non importa. Le qualità di un oggetto possono derivare da parametri molto diversi: l’arte, il linguaggio, la tecnologia, la funzione, la storia, l’emotività. E questi parametri a loro volta possono essere intrecciati. Credo che la cura, la serenità e l’amore con cui si progetta facciano la differenza.
D. Ci sono modelli utili nella comunicazione contemporanea?
R. Le nuove mille attività virtuali ridondano di azioni prive di obiettivi. L’aberrazione quantitativa dell’accesso alle notizie e alla conoscenza, unita all’astrattezza iper-terziaria delle professioni crepuscolari, rende piatta la linea energetica delle creazioni. Lavoro uguale gadget, uguale mancanza di responsabilità. Dentro questo spensierato (o cinico) modello di riferimento si devono però cercare, trovare e agire delle prese di responsabilità. E precisamente: estetiche, umanistiche, antropologiche, sociali.
D. “Quali Cose Siamo”, terza interpretazione del Triennale Design Museum da lei concepita e curata, è stata definita come la migliore mostra del 2010 dal New York Times. I motivi del successo?
R. Il design di oggi è violentemente realistico, l’innovazione è diventata un trend, perfino l’ecologia è ridotta a moda. È un design appiattito su un edonismo e un eclettismo stilistico senz’anima. Lo stile ha perso il suo significato più profondo e si è trasformato in styling superficiale, un gioco di segni stupido e vacuo…. Abbiamo bisogno di credere in una nuova qualità, in una nuova generosità, in una nuova poesia. Nella mostra della Triennale non ho selezionato oggetti di design ma cose. Ho pensato agli incontri della mia vita, sono storie raccontate attraverso gli oggetti. E’ un processo che ciascuno può replicare nel suo personale museo domandandosi “quali cose sono?”.
D. Il design Zanotta: annotazioni tra passato e presente.
R. Zanotta, come altre industrie del design italiano, ha compiuto positivamente il suo salto generazionale. Esiste allora oggi una Zanotta giovane e aggiornata, ed esiste una Zanotta storica ed eroica, quella di Aurelio. Le forme oggi corrispondono ai nuovi designer, ai nuovi materiali e nuovi trend. E questo rinnovo mi sembra essere ben radicato e collegato alla grande tradizione dell’azienda, in un’ideale continuità di stile e di metodo.
(intervista a Alessandro Mendini per il magazine online Zanotta Happenings, 2011)
