Architetto, designer, consulente per la grafica e la direzione artistica di mostre e concept d’impresa, uomo colto, mite e gentile, un amico e collaboratore acuto e prezioso.
Così Zanotta ricorda Roberto Barbieri. «Barbieri resta uno dei più significativi designer contemporanei della collezione Zanotta, con cui ha collaborato instancabilmente dal 1994 con prodotti che sono tra quelli che hanno reso attuale e apprezzato il nostro catalogo», afferma Eleonora Zanotta. «L’identità forte e il successo ottenuto con la serie delle sedie disegnate da Roberto da Lia in poi, sia in termini di mercato sia di concezione innovativa e di ricerca, ne sono la testimonianza concreta. La sua sensibilità, la sua disponibilità, la sua serietà e la sua preparazione professionale, e soprattutto la grande umanità che lo contraddistingueva sono il ricordo più bello che conserverò».
I progetti, le visioni e i sogni nel cassetto, il garbo con cui si è sempre interfacciato con i colleghi e i tecnici dell’azienda, lasciano di Roberto Barbieri un ricordo sensibile e forte. Come testimonia con commozione e passione Daniele Greppi, capo dell’Ufficio tecnico Zanotta, storico collaboratore e amico del progettista scomparso. «Roberto Barbieri ci ha lasciato. Improvvisamente. Mille sono i ricordi che si potrebbero raccontare, ad uno in particolare sono legato. Era il 1984, io e un caro amico -ancora studenti- stavamo lavorando con lui per una piccola produzione di mobili della Brianza. Durante una riunione, il titolare chiese a Roberto come andava la costruzione della sua nuova casa in campagna e come fosse il progetto. Roberto prese un piccolo pezzo di carta e disegnò una casa, di quelle che disegnano i bambini in prima elementare: una porticina, due piccole finestre e la tipica copertura a capanna. Il titolare disse: “Bravo architetto, hai fatto la cosa più bella della tua carriera”. Io non ho mai visto la casa costruita, ma probabilmente è proprio così semplice, l’essenza di quella che nell'immaginario collettivo tutti noi definiamo casa. Quindici anni dopo costruimmo insieme, io come tecnico e lui come progettista, la sedia Lia che ritengo essere l’essenza stessa della sedia. Lui era proprio così: una persona semplice che amava le cose semplici, dove pero’ la semplicità non e’ semplificazione ma frutto di un processo di decantazione che può durare a volte tutta una vita. Da oggi ci sentiamo un po' più soli».
Un incontro, tante idee
Nel 2006 la rivista Zanotta Happenings, alla prima uscita online, intervista Roberto Barbieri. E’ il primo di tanti suoi contributi al magazine Zanotta. Eccone un brano. «La prima volta che incontrai Aurelio Zanotta, col progetto di una sedia in legno, fu per me memorabile: discutemmo per ore sul concetto di sedia e su quanto contasse il rapporto tra funzione e design. Il mio nome allora non contava, l’oggetto che portavo un po' di più, tanto che s’iniziò a realizzarne dei prototipi. Quella sedia poi non si fece, ma credo fu da quell'occasione mancata che si stabilì con l’azienda il clima che favorì le successive collaborazioni. Tra i progetti realizzati su mio disegno, considero la sedia Lia l’oggetto giusto che ha creato il mercato. Lega d'alluminio pressofuso, un profilo gentile che conferisce leggerezza; l’imbottitura sottile di poliuretano; il rivestimento. Lia andò bene al pubblico e ancora oggi se ne vendono migliaia. Ricordo la mia ammirazione per la Tonietta di Enzo Mari per Zanotta: la forma desunta dalle storiche Thonet resa moderna dall'alluminio e dal cuoio nero. Anch'essa, ancora in produzione, non smette di avere consensi».
«Papà l’abbiamo conosciuto mentre disegnava su fogli bianchi per raccontarci i progetti a cui lavorava, ma anche su angolini d’agenda rimasti liberi, tovaglioli di carta presi al volo e quando i nipoti gli chiedevano un altro disegno. Ogni volta osservavamo come un foglio bianco non riuscisse a metterlo a disagio e come fosse naturale che la sua matita lasciasse un tratto, spesso nitido ed essenziale, che rendeva il foglio più bello, compiuto. A volte lui cercava la forma attraverso il tratto che esplorava il foglio, fino a che l’idea si faceva scoprire. Papà usava la sua matita o qualsiasi altro strumento capace di produrre un segno per dare un senso alle parole… era divertente osservare che ci volesse un disegno perché sentisse di essere stato efficace nella comunicazione. Ogni persona ha il suo modo naturale di comunicare, il solo attraverso cui poter ritrovare i tratti caratteristici dell’anima, dando senso alle cose e chi è a portata d’ascolto è felice. Papà ha avuto la fortuna di poter comunicare così e a noi che abbiamo potuto ascoltare ed essergli vicini ha dato la possibilità di dare un significato profondo alla parola bello. Bello quando è essenziale, quando non vuole apparire, quando è il frutto di una ricerca lunga e attenta. Bello quando non ci sono appigli perché possa essere preda della banalità».
Le figlie di Roberto ricordano così il padre e il suo amore per il disegno, strumento di pensiero e comunicazione. Ringraziamo loro e la signora Laura, anche per gli schizzi che illustrano questo articolo.
.jpg)
